Parlare di “dr. IA” è facile, ma la realtà è che al momento non ci sono algoritmi di intelligenza artificiale pronti per essere usati nella pratica clinica. Gli attuali algoritmi hanno ancora troppi difetti che li rendono poco affidabili e potenzialmente pericolosi. Attualmente, questi algoritmi sono adatti solo a contesti sperimentali e accademici. Ciò non significa che l’intelligenza artificiale non sarà mai pronta, ma semplicemente che c’è ancora molta strada da percorrere. Questi temi, cruciali per il futuro, sono stati discussi durante il congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria, che celebra i suoi 150 anni al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Uno dei punti di discussione è stato un recente studio italiano pubblicato sull’Italian Journal of Psychiatry, condotto da Antonio Vita, vicepresidente SIP, professore di psichiatria all’Università di Brescia e direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASST Spedali Civili di Brescia.
“La ricerca sulle possibili applicazioni dell’Intelligenza artificiale in ambito sanitario è in fermento come mai prima d’ora – afferma la presidente SIP, Liliana Dell’Osso –. C’è un crescente interesse nel settore della salute mentale, dove sono stati sviluppati e studiati numerosi algoritmi. È facile farsi trascinare dall’entusiasmo, ma c’è ancora molta strada da fare prima che queste tecnologie possano essere utili nella pratica clinica”. Questo è quanto dimostra la nuova review.
“L’IA oggi ha un grande impatto sulla ricerca clinica, che sta vivendo una profonda trasformazione – sottolinea Emi Bondi, presidente uscente SIP –. Negli ultimi anni sono state condotte numerose analisi e metanalisi sull’uso dell’IA nel campo della salute mentale, sempre focalizzate su singoli disturbi, algoritmi specifici o metodiche precise. Questa nuova review è importante perché non si concentra su uno specifico algoritmo o disturbo mentale, ma esamina l’uso attuale di questa tecnologia nel campo della salute mentale”.
In particolare, i ricercatori hanno esaminato tre tipi di algoritmi: il Natural Language Processing (NLP), il machine learning e il deep learning. NLP è una branca dell’intelligenza artificiale che aiuta i computer a comprendere, interpretare e manipolare il linguaggio umano. Un esempio famoso è ChatGpt. Il machine learning è un sottoinsieme dell’intelligenza artificiale che utilizza dati e algoritmi per permettere alle macchine di imparare e migliorare. Il deep learning utilizza reti neurali, algoritmi progettati per imitare il cervello umano, che devono essere addestrati con grandi quantità di dati per riconoscere schemi e fare previsioni accurate.
“L’obiettivo della nostra review è stato quello di valutare le prestazioni dei principali algoritmi, analizzando i metodi più usati per raccogliere i dati necessari al loro addestramento – spiega il prof. Vita –. Per funzionare in modo ottimale, l’intelligenza artificiale richiede una grande quantità di dati: dai parametri neurobiologici alle registrazioni audio-video, fino ai database nazionali, anche assicurativi, o dati di soggetti reclutati appositamente per testare un algoritmo. È chiaro che l’affidabilità di un algoritmo AI dipende molto dalla qualità dei dati utilizzati per il suo sviluppo. Le banche dati utilizzate non sono state create appositamente per questo scopo, quindi potrebbero contenere errori, carenze o semplificazioni che riducono l’affidabilità dell’IA”.
Inoltre, l’uso dell’IA in ambito clinico presenta ulteriori problemi, oltre a quelli relativi allo sviluppo di algoritmi efficienti e affidabili. “Questi problemi includono la questione della responsabilità e il rischio che dati sensibili possano finire nelle mani sbagliate – aggiunge il prof. Vita –. Attualmente manca una legislazione adeguata e in caso di errore dell’IA, non è chiaro chi dovrebbe essere ritenuto responsabile: lo psichiatra che ha convalidato il risultato, il paziente che l’ha accettato, gli sviluppatori dell’algoritmo, il sistema sanitario che lo ha implementato, o nessuno? Inoltre, raccogliendo dati sensibili e monitorando le attività quotidiane, gli studi possono mettere a rischio la privacy dei soggetti”. Quindi, siamo ancora lontani dall’essere curati dalle macchine, anche se intelligenti.
“Nonostante i servizi di salute mentale abbiano subito una significativa trasformazione verso la digitalizzazione, utilizzando la tecnologia a vari livelli, dalla diagnosi all’assistenza, nessun metodo di intelligenza artificiale può dirsi pienamente pronto per essere utilizzato nella diagnosi, assistenza e cura dei pazienti – conclude il prof. Vita –. Tuttavia, essendo un settore in continua evoluzione, sono necessarie ulteriori ricerche per monitorare i progressi e sviluppare algoritmi che potranno effettivamente essere di grande aiuto nella pratica clinica”.