Secondo un’analisi riportata da Red Hot Cyber, il governo iraniano ha stretto un patto insolito con hacker locali per proteggere il sistema bancario nazionale dalle minacce esterne. Questo scenario, che sembra tratto da una trama di “Mr. Robot”, si sviluppa in un contesto di isolamento economico a causa delle sanzioni. La vulnerabilità del sistema bancario, aggravata dall’impossibilità di accedere a risorse e tecnologie occidentali, ha spinto l’Iran a collaborare con cybercriminali locali. Questi gruppi, che in precedenza rappresentavano una minaccia, ora vengono utilizzati come difensori contro gli attacchi esterni, con l’obiettivo di mantenere la stabilità economica e sociale.

La situazione è particolarmente critica in Iran, dove gli attacchi informatici contro le infrastrutture finanziarie stanno crescendo. Più volte le sanzioni economiche internazionali hanno isolato il Paese da circuiti finanziari globali, limitando l’accesso a risorse tecnologiche moderne e a sistemi di difesa informatica avanzati. Per rispondere a questi problemi, il governo iraniano ha optato per una tattica che può apparire cinica, cercando la collaborazione di hacker interni per prevenire ulteriori danni alle proprie banche. Si tratterebbe di un “do ut des” in cui lo Stato tollera o chiude un occhio su attività criminose in cambio di protezione e supporto contro attacchi esterni, come i ransomware.

Questa mossa solleva numerosi dubbi etici e giuridici, dal momento che collaborare con criminali informatici potrebbe comportare la crescita di una cultura di impunità, oltre a rischiare che queste stesse risorse interne siano un’arma a doppio taglio, potenzialmente usate anche contro l’Iran in futuro.

In conclusione, l’approccio iraniano potrebbe sembrare pragmatico, ma implica una pericolosa alleanza con entità che normalmente operano fuori dalla legge. Il compromesso potrebbe garantire una certa stabilità a breve termine, ma le implicazioni a lungo termine restano incerte.

Fonte: Red Hot Cyber

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